LA SCUOLA DI SALOMONE




Dopo duecento anni, a Spoltore, rialza le colonne “La Scuola di Salomone”, storica Loggia promotrice dei moti repubblicani del 1814

di Maria Concetta Nicolai

A due secoli di storia e di Tradizione massonica si sono rifatti i Maestri fondatori della “Scuola di Salomone, rispettabile loggia massonica che il 28 settembre 2009, esattamente a duecento anni di distanza, hanno ripreso i lavori latomistici, ponendosi all’obbedienza della Serenissima Gran Loggia Nazionale italiana degli Antichi liberi e accettati muratori di Piazza del Gesù, al Grande Oriente di Napoli.

Memore degli ideali repubblicani e della pratica del Libero pensiero che connotarono i padri predecessori ai quali si devono le tante conquiste sociali e culturali che ancora oggi costituiscono il prestigio del territorio vestino, la Loggia si è posto come programma esterno lo studio dell’apporto della Massoneria nell’evoluzione del Risorgimento italiano e nella conquista dell’unità nazionale, oltre che quello di tenere vivo nelle generazioni future il ricordo degli eventi del 1814, i primi ad accendere nel Meridione le istanze repubblicane. A tal fine, i Maestri fondatori hanno stilato, sui documenti esistenti, la seguente memoria a cui fanno riferimento storico e morale.

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Il 28 settembre 1809, un anno dopo che Gioacchino Murat par la grace de Dieu et par la Constitution de l'Etat era divenuto Re delle due Sicilie, gli spiriti liberali dell’area vestina, memori degli ideali massonici radicatisi nella Provincia teramana già dal 1775[1] fondavano la Rispettabile Loggia “Scuola di Salomone” ponendola all’Obbedienza del Grande Oriente di Napoli di cui era Gran Maestro lo stesso Murat.

La Loggia svolgeva i suoi lavori alternativamente a Città Sant’Angelo, in alcuni locali del Convento dei Frati minori riformati, e a Spoltore, come la memoria familiare e cittadina afferma, nella casa di Francesco Paolo Giulio Nicolai [2] che, del tutto conquistato dalla nuova politica importata dai Francesi, imponeva al proprio figlio, nato in quello stesso anno, il nome di Napoleone.[3]

A dire il vero nella sua famiglia più d’uno aveva già aderito alle idee della Rivoluzione francese e della Repubblica partenopea, come testimoniano le azioni compiute a Chieti il 3 marzo del 1800 da Cassiodoro e Bartolomeo Nicolai, suoi cugini germani.[4]

Gli aderenti dell’una e dell’altra località, erano per lo più legati tra loro da vincoli di parentela: a Città Sant’Angelo si ricordano innanzi tutto Michelangelo Castagna, Maestro Venerabile della Loggia, Domenico Pieramico, Domenico Marulli, Daniele Nicolai, Giuseppe Monti, e molti altri come documentano Niccola Castagna e Luigi Coppa Zuccari[5]; a Spoltore il già citato Francesco Paolo, il di lui fratello Camillo, il cugino germano Nicola Nicolai, i suoi cognati Francesco Urbano, Fiorello de Cesaris, lo zio acquisito Luigi Ansovini con il fratello Saverio Antonio, Pietro Panfilo Manfrini, cugino dei Castagna di Città Sant’Angelo, Biagio Monti cognato di Francesco Urbano, nonché cugino del ramo Monti di Città Sant’Angelo, Filandro Pellegrini, Giuseppe Di Filippo e i figli Sabatino e Fiorangelo, Vincenzo Della Penna, legato da una lontana parentela con Filippo la Noce da Penna Sant’Andrea.

La Scuola di Salomone”, che intratteneva rapporti e collaborazione con le Logge dei centri vicini, soprattutto con “ Gli Amici riuniti” di Pescara, "La Filantropia" di Penne, "I Figli del Gran Sasso" di Teramo, la "Perfetta Unione" di Chieti, "La Concordia" di Lanciano,[6] in ogni caso aggregava i fratelli di Moscufo, Cappelle, Castiglione Messer Raimondo, Elice e l’elenco potrebbe continuare a lungo se la memoria orale ci avesse tramandato tutti i nomi degli associati che dovevano essere piuttosto numerosi se, nel 1814, le cronache assicurano che, tra le varie località, raggiungevano il numero di trecento.[7]

Oltre a spargere il seme del libero pensiero e della fede repubblicana, i cui frutti vivificarono a lungo nei secoli XIX e XX, l’azione più importante della “Scuola di Salomone” fu l’organizzazione della “sollevazione dell’Abruzzo” vestino che costituisce il prodromo dei moti risorgimentali.

Al riguardo scrive Niccola Castagna: “Il giorno diciannove di marzo dell’anno milleottocentoquattordici (…) i Massoni, i quali per compiere il disegno si erano già riuniti ed accomunati insieme, convennero insieme in un casino posto a Castellammare, affinché si dovesse assegnare definitivamente il giorno del primo scoppiare del tumulto. (…). Quindi strinsero i tempi e concordi stabilirono la levata nel prossimo venerdì, che era appunto il giorno che si commemorava la Santissima Annunziata. Nella notte sopra a quel giorno, mossero di Loreto il Vitacolonna, di Penne il de Caesaris, e di Città sant’Angelo il Castagna, ognuno coi suoi, oltre ai congiurati di Castiglione, di Spoltore, di Pianella, di Moscufo e di altri paesi e giunti il mattino in Pescara, tosto si confusero con la gente indifferente tratta colà per propri negozi”.[8]

L’inaspettato tradimento di Gennaro Sabatini, che svelò il disegno al comandante della piazzaforte di Pescara, fece vacillare sul nascere il tentativo che si proponeva addirittura di conquistare la fortezza. Ma non fermò i cospiratori che anzi raddoppiarono tumulti e sommosse in tutto il territorio.

Il 27 marzo a Città Sant’Angelo, al suono di tutte le campane, Davide Nicolai e Giuseppe Monti innalzarono sulla torre dell’orologio, la bandiera della Massoneria che si ornava dei colori turchino, rosso e nero, mentre Michele Castagna, Domenico Ma rulli, Berardo de Michaelis e Filippo la Noce istituivano un governo provvisorio e la guardia cittadina. Analoghe manifestazioni di allegrezza si tennero nei centri vicini, ma la reazione del Governo non si fece attendere a lungo che inviò in Abruzzo, un forte schieramento di truppe comandate dai generali Amato e Guglielmo Pepe, i quali tuttavia tennero un comportamento accomodante, tanto da essere considerati in qualche modo conniventi, con il risultato che la terza divisione militare di Chieti fu affidata al generale Montigny, di tutt’altra indole, il quale scatenò ben presto una serrata caccia all’uomo.

Alla repressione esercitata sulle popolazioni, si aggiunse l’arresto dei principali protagonisti della rivolta. Quasi tutti i paesi ebbero i loro martiri e i loro esuli, rifugiati, per lo più nello Stato pontificio. Alla fuga di Daniele Nicolai, di Filandro Pellegrini e di Giuseppe Monti, seguirono gli arresti di Pasquale Castagna, di Simone De Caesaris e di molti altri[9], ma soprattutto le esecuzioni capitali di Domenico Marulli, Berardo de Michaelis, Filippo la Noce, Giuseppe e Fiorangelo Di Filippo, Vincenzo Della Penna, questi ultimi tre nativi di Spoltore, a maggior spregio, fatti passare per comuni briganti e grassatori.[10]

Interessanti al riguardo le memorie degli atti di morte di Berardo de Michaelis, Filippo la Noce e Vincenzo della Penna. Del primo, giustiziato a Penne insieme ad altri martiri, Niccola Castagna scrive: “quando le nobilissime anime erano partite dai corpi, i carnefici sotto gli stessi occhi delle genti che inorridivano, mozzarono a quei morti il capo, lasciando esposti a ludibrio delle moltitudini, gli avanzi insanguinati che poscia dalla pietà del Comune ebbero sacra sepoltura. Quindi quei crudelissimi presero le onorate teste e, in diversi cestelli collocatele, quella del capitano de Michaelis, il giorno seguente, circondata da sessanta sgherri, portarono in Penna Sant’Andrea, (…) e conficcata sull’alto della Porta nuova del suo paese, vista e passo frequentatissimo della pubblica piazza del luogo. Quindi per il de Michaelis costrinsero ad essere presenti i genitori di lui Francesco ed Angela Dea De Sanctis e la vedova moglie Angela Raffaela De Marinis”.[11]

Per Vincenzo della Penna l’unica memoria disponibile è l’atto di morte conservato nell’archivio storico parrocchiale di Spoltore: “Anno Domini 1815 die vigesima sexta mensis Jannuarii.

Ioannes Vincentius filius Dominici della Penna et Teresia d’Alanno, aetatis suae annorum viginti octo circiter, pro delictis suis, subiecit Commissionem militarem erectam in die vigesima quinta eiusdem mensis in arce munitissima Piscariae ubi sententia statuit mortus ipsius.

In ipsa die confessus et comunicatus fuit ab ipso Abate Piscariae et confortatus.

In die ante 26 tradit in hanc terram eius patriam cum centum quadraginta militibus et circa horam decimam quinta extra portas Sancti Antonii fucilatus fuit et recisum ejus caput positum fuit in berlina ferrea. Corpus vero sepultum fuit in Cimiterio huius Parrocchialis Eclesiae Sancti Panfili. Curatur Paschalis Mancini”.[12]


[1] In un diario del curato Crocetti di Mosciano Sant’Angelo appaiono notizie di una Loggia massonica esistente a Teramo dal 1775, sotto la maestranza di Melchiorre Delfico

[2] Francesco Paolo Giulio Nicolai (1780-1934) figlio di Michele Costanza Miscia, sposato con Antonia Porzia de Cesaris, abitava come si envice dagli atti degli Archivi parrocchiale e Comunale e dai Libri catasti, in via Santa Maria, nel fabbricato oggi indicato con il numero 28.

[3] Archivio storico parrocchiale e comunale di Spoltore, ad annum

[4] Luigi Coppa Zuccari, L’invasione francese negli Abruzzi, vol. 2, pag. 426

[5] Luigi Coppa Zuccari, op. cit, passim; Nicola Castagna, La sollevazione d’Abruzzo, ovvero i Moti rivoluzionari del 1814, Roma 1884, ristampa ed. Polla, Cerchio 1986.

[6] Archivio di Stato di Chieti, Elenco delle Logge massoniche aderenti al Grande Oriente di Napoli.

[7] Nicola Castagna, op. cit, passim.

[8] Nicola Castagna, op. cit, passim.

[9] Nicola Castagna, op. cit, passim.

[10] Archivio storico parrocchiale di Spoltore.

[11] Nicola Castagna, op. cit, passim.

[12] Nell’anno del Signore 1815, il giorno 26 del mese di gennaio

Giovanni Vincenzo, figlio di Domenico della Penna e Teresa d’Alanno, all’età di ventotto anni circa, per i suoi delitti, subì la commissione militare formata nel giorno venticinque dello stesso mese nella piazzaforte di Pescara, dove fu pronunziata la sentenza di morte.

Nello stesso giorno fu confessato, comunicato e confortato dallo stesso Abate di Pescara.

Prima che sorgesse il giorno 26 fu tradotto in questa terra, sua patria, con centoquaranta militi e a circa l’ora quindicesima (il curato registra l’ora alla francese, quindi verso le tre del pomeriggio) fu fucilato fuori porta Sant’Antonio e il suo capo reciso fu posto nella gabbia di ferro.

Il corpo fu sepolto nel cimitero di questa parrocchia di San Panfilo (ovvero nel campo antistante la chiesa riservato alle sepolture degli assassini, degli scomunicati e di quanti fossero morti ad di fuori delle regole della Santa Romana Chiesa).